Il nome della botanica
Come tutti i maschi etero, anch’io non sono insensibile alla bellezza e al fascino femminili, ma quando mi trovo al cospetto di una donna, e questa apre bocca e si mette a parlare, capisco immediatamente se è una donna intelligente e colta, di quella cultura umile e pacata che non ha bisogno di mettersi in mostra, né di esplicitarsi in modo arrogante e spocchioso come fanno quelle laureate che s’incontrano su Facebook, e che mentre esprimono le loro sentenze, sembra che ti guardino dall’alto in basso, concedendo la loro erudizione a te, misero plebeo non laureato. No, la donna che ho incontrato oggi, durante la solita passeggiata con i cani, era sì, laureata in scienze naturali, nonché specializzata in botanica, ma trasudava quella tranquilla sicurezza del sapere che non ha bisogno d’imporsi sugli...ignoranti.
Mentre con la App di riconoscimento delle specie inquadravo alcuni funghi spuntati in un ceppo d’albero. La donna sul sentiero nel bosco si ferma e...apre bocca.
Lei: E dunque, stiamo fotografando i chiodini?
Me: Non so se sono chiodini, ma ieri, in questo stesso punto, c’era una coppia, marito e moglie, che avevano riempito due ceste di funghi dal cappello marrone…
Lei: Chiodini!
Me: Io non mi sono fermato, perché non volevo metterli in imbarazzo, ma mi dica una cosa, noi che ci siamo già conosciuti due anni fa, dato che lei è un’esperta…
Lei: Oh, Dio! Non mi ricordo...sa incontro tanta di quella gente!
Me: Guardi che non mi offendo se non si ricorda di me. Ultimamente, mi è venuta la passione della botanica, materia che ho sempre trascurato perché mi interessavano di più gli animali.
Lei: Ah, ho capito chi è! Lei stava raccogliendo un insetto…
Me: Sì, era un coleottero. Di solito, li raccoglievo, li fotografavo o li filmavo e poi li liberavo, ma qualche volta mi morivano e mi venivano i sensi di colpa. E’ per questo motivo che ho avuto una specie di metanoia, perché se mi muore una pianta, come a volte mi succede, non mi vengono i sensi di colpa. Con le bestioline era diverso. Le tenevo nei terrari, mi morivano e io mi chiedevo perché dovessi interferire nelle loro vite, da qui la mia metanoia e l’interesse indirizzato, ora, verso le piante.
Lei: Cosa mi voleva chiedere?
Me: Dal punto di vista legale, cosa serve per raccogliere funghi?
Lei: Bisogna seguire un corso, ottenere un patentino e pagare una tassa, ma nessuno lo fa.
Me: Tutti abusivi, quindi!
Lei: Sì, domani tengo una lezione all’UTE (università Terza Età) di Rivignano, dove parlo anche di queste cose. Prima passo a prendere un ciuffo di chiodini e poi li porto ai miei studenti. Mi raccomando, se li deve raccogliere, me ne lasci un ciuffo. C’è gente che viene dal Veneto per i funghi. Una volta un tizio mi ha offerto una cassa di bottiglie di prosecco se gli dicevo dove sono le ceppaie dei chiodini e io gli ho risposto che i funghi si deve fare la fatica di cercarli.
Me: Certo! Il piacere della ricerca! Stia tranquilla, se li trovo faccio solo una foto e non glieli tocco. Se vuole venire a vedere le mie piante, io abito al numero civico…
Lei: Ah, ma non era la collezione di farfalle?
Me: Scusi, lungi da me, non mi permetterei mai. E poi, so che lei è felicemente sposata con un indigeno.
Lei: Ora vado a recuperare la bicicletta, perché noi ad Ariis non abbiamo la corriera.
Se ne va e, dopo pochi passi, mi grida da lontano:
“Qui ce ne sono, chiodini, in questa ceppaia!”
“Dopo torno indietro e li guardo”, le grido a mia volta.
Fatti un centinaio di passi, vedo venire avanti, lungo il sentiero, due uomini di una certa età, vestiti alla montanara, ciascuno con un bastone in una mano e un cesto di vimini nell’altra. Fanno, ridendo rilassati, qualche complimento ai cani. “Ahi!” - ho pensato. La professoressa domani non troverà niente da portare ai suoi studenti. Poco oltre il ponticello in legno, c’era la macchina parcheggiata dei due veneti. Ho fatto una foto alla targa, perché non si sa mai. Speravo che, dopo aver recuperato la bicicletta, la professoressa facesse la stessa strada attraverso il bosco, per andare ad Ariis, e invece probabilmente ha preso quella asfaltata. Se fosse tornata indietro le avrei detto che il suo incubo si era avverato. Erano arrivati i veneti! Le avrei chiesto se per caso aveva incrociato un furgone bianco che andava in quella direzione. Ma non l’ho più rivista. E mentre il mio maestro Guglielmo da Baskerville proseguiva lentamente sul suo cavallo, io continuavo a guardare davanti a me, camminando verso casa, sperando di vederla tornare in bici, con la consapevolezza che di quella donna non sapevo nemmeno il nome. Il nome della botanica!

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